Paziente: Sherlock Holmes

In attesa di ultimare il colloquio col paziente precedente, faccio accomodare in sala d’attesa il sig. Holmes che viene in studio accompagnato dal suo consulente e collega dott. Watson.

Nel salutare il paziente precedente, colgo uno scambio tra i due in sala d’attesa:

W.: “Ha ragione Anderson! È vero quello che dicono su di te: sei uno psicopatico!”

H.: “Sociopatico ad alto funzionamento, informati anche tu.”

Inizio come sempre con la raccolta dei dati anamnsetici. In termini meno tecnici, raccolgo la storia del paziente concentrandomi su alcuni aspetti fondamentali. La raccolta di informazioni si rivela piuttosto complicata a causa della straordinaria memoria del sig. Holmes, un “Palazzo della memoria” mai visto prima per accuratezza e per velocità di rievocazione del ricordo. Dopo 3 ore e un quarto il paziente inizia a raccontare l’inizio della scuola primaria.

Il paziente chiede di confermare o disconfermare l’autodiagnosi che ha fatto su Google. Sento di essere un sociopatico ad alto funzionamento. È vero? O sono psicopatico come dicono gli altri?

Sociopatia e psicopatia sono due etichette che rientrano in quello che viene definito “Disturbo antisociale di personalità” (DAP). La distinzione tra i due disturbi, sebbene abbiano alcuni criteri differenti, è molto labile e spesso vengono usati come sinonimi.

Caratteristiche tipiche del disturbo antisociale di personalità sono: incapacità a conformarsi al comportamento sancito dalla legge ed etico, egocentrismo, mancanza di preoccupazione per gli altri, incapacità di riconoscere le proprie e altrui emozioni, manipolatività e/o falsità, irresponsabilità,  tendenza a correre rischi, assenza di rimorso.

(Chi ha visto la serie tv su Netflix può escludere che Sherlock soffra di un disturbo antisociale di personalità. Lo Sherlock televisivo, infatti, occasionalmente prova senso di colpa, in alcuni casi addirittura piange; è legato a Watson e Mary, alla sig.ra Hudson, a Mycroft; riconosce le emozioni e le usa per risolvere i suoi casi, ad esempio anticipando i comportamenti degli altri dettati, appunto, dalle emozioni. Insomma, questi adattamenti cinematografici rendono il personaggio “amabile”, cosa molto difficile in caso di disturbo antisociale di personalità).

Il comportamento ossessivo, l’apparente mancanza di empatia, QI elevato, attaccamento alla routine,  stile comunicativo formale, interessi ossessivi farebbero piuttosto pensare ad un disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento, come l’Asperger.

Spiegherebbe il suo disgusto per la socializzazione e per il contatto fisico, la sua piccola cerchia di contatti, l’ossessione per risovere i casi e l’eloquio formale. Inoltre, la sindrome di Asperger rende difficile riuscire a cogliere le emozioni proprie e altrui, per questo, chi ne soffre, tende a compensare questo aspetto con la capacità di creare modelli complessi di comportamento che vengono usati per comprendere le motivazioni che ne stanno alla base (vi dice niente la “Scienza della deduzione”?).

Inoltre chi chi soffre di Asperger è in grado di creare legami forti con chi gli sta vicino e possono diventare molto dipendenti da queste relazioni. Spesso posseggono abilità manuali stupefacenti, come ad esempio la pittura o essere molto bravi a suonare uno strumento musicale.

Per me il caso è chiuso!

Elementare Watson!

Dott.ssa Cristina Politano
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A lunedì prossimo con un nuovo paziente nella rubrica #Diagnosispicciola per STVFA!

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