L’elaborazione del lutto ai tempi del Coronavirus
Quando una persona a noi cara viene a mancare, che sia a seguito di una morte improvvisa, o di una malattia, nell’arco di qualche giorno vengono messi in atto una serie di riti che ci preparano emotivamente e psicologicamente alla separazione definitiva.
Quando il decesso avviene in ospedale, i sanitari telefonano ai familiari e questi, a qualunque ora del giorno o della notte, possono recarsi dal proprio caro. Possono salutarlo, accarezzarlo, tenergli la mano. Possono abbracciare i parenti o amici stretti che li raggiungono per dare il loro appoggio.
Viene allestita una camera mortuaria, in cui possono piangere accanto al familiare che li ha lasciati, in cui tutti quelli che ne sentono il bisogno possono andare a pregare o a dargli un ultimo saluto.
C’è il funerale, sia esso religioso o civile, con cui viene celebrata la vita della persona e che aiuta, anche a livello simbolico, ad accompagnarla verso un altro posto.
Queste, sono tutte occasioni di raccoglimento, non solo accanto alla persona defunta, ma anche ai familiari. Occasioni di vicinanza emotiva, di condivisione del dolore. Di saluto e di distacco. Ed è proprio dopo questi riti che può iniziare quella che viene definita “elaborazione del lutto”.
In una situazione di normalità, quella appena descritta è, in genere, la prassi.
Come cambia il lutto durante l’emergenza Coronavirus
Ora, immaginiamo la morte di una persona durante l’emergenza Coronavirus.
Una persona, che chiameremo Lilla, si sente male. La famiglia, o più verosimilmente uno o due familiari presenti in casa, chiama il 118. Questo, è l’ultimo momento in cui, chi è vicino a Lilla, la vedrà. Lilla viene trasportata in ospedale da un’ambulanza.
Il rapporto tra la famiglia e Lilla viene interrotto. Passano i giorni in ospedale senza alcun contatto con i familiari. Qualche videochiamata se le sue condizioni di salute lo permettono. Poi Lilla muore. È da sola, accanto a lei ci sono solo pochi sconosciuti. I familiari vengono avvisati telefonicamente e non potranno vedere la salma, non potranno scegliere i vestiti, non potranno scegliere la bara, non potranno scegliere i fiori, non potranno occuparsi del funerale, perchè il funerale non ci sarà.
Sebbene possano sembrare cose superflue, di secondo piano rispetto a quanto accaduto, costituiscono un’importante momento di preparazione all’elaborazione del lutto. Il fatto di organizzare l’ultimo saluto, occuparsi della persona cara affinché sia ben vestita nel suo ultimo viaggio (quanti nonni hanno nell’armadio il completo già pronto per “quando sarà il momento”?) fanno parte di tutta quella serie di riti e usanze che ci fanno uscire dalla negazione della morte, per avvicinarci in modo delicato al distacco, per preparaci a dare l’ultimo saluto.
Dicevo, non c’è raccoglimento in ospedale, non c’è la camera mortuaria e non c’è un funerale, solo una rapida benedizione di fronte alla tomba. È un po’ come se il rapporto, prima interrotto bruscamente, ora rimanesse sospeso.
Le cerimonie, da sempre, rappresentano un rito di passaggio da una condizione ad un’altra. Il funerale, nello specifico, è ciò che sancisce il passaggio dalla vita alla morte. Già, la morte come evento irreversibile.
Una mamma che seguo ha perso il papà in questi giorni.
“Mia figlia mi chiede quando torna il nonno, le ho spiegato che il nonno non c’è più, che è volato in cielo…e lei mi ha chiesto perché non l’ha salutata, quando torna a salutarla prima di andare via”.
Da mamma, ho pianto con lei. Insieme però abbiamo provato a trovare qualche risposta, qualche idea e qualche parola, tutte cose che a lei mancavano in questo momento.
La morte è ancora un argomento tabù in molte famiglie. Spesso ci si trova impreparati alle domande dei bambini; domande dirette, spiazzanti, crude, che arrivano quando, con la morte, si fa un’esperienza diretta.
E ci si sente impreparati, inadeguati, pieni di sensi di colpa per non essere in grado di dare risposte soddisfacenti. C’è chi non si fa vedere piangere, fingendo che sia tutto ok.
Voglio dare un suggerimento: non nascondete ai bambini le emozioni legate ad un lutto. La sofferenza, la tristezza, ma anche le lacrime, fanno parte della vita ed è bene che anche i bambini le conoscano.
Spiegate con parole adatte alla sua età, tafore, usando metafore e storie (la stellina, la nuvola, il cielo, il fiore o il paradiso per chi crede).
Date speranza al bambino e continuità al rapporto con la persona deceduta e alla vita.
Assolutamente vietato mentire o dare false speranze, i bambini hanno le risorse per affrontare una situazione difficile insieme ad uno o più adulti di riferimento.
Gli adulti, oltre alla sofferenza per la perdita della persona cara, in questo particolare momento storico, fanno i conti con i sensi di colpa di non essere stati presenti. Di non aver tenuto la mano della persona cara nei suoi ultimi momenti. Di averla lasciata da solo. Di non aver fatto abbastanza.
Fanno i conti con l’impotenza e i rimpianti, legati principalmente a cose che avrebbero voluto dire o fare col proprio caro.
Il rimorso, perché l’ultima volta che si sono visti hanno discusso o hanno parlato di cose semplici dal sapore di normalità. Chi avrebbe pensato che sarebbe stato l’ultimo scambio comunicativo?
L’assenza, perché vivono a migliaia di km di distanza e l’ultima volta che si sono visti era Natale.
La morte ai tempi del Coronavirus è un lutto nel lutto.
La cosa più dura, però, dopo ogni disastro, è la ricostruzione. Di vite, di ricordi, di storie. Di saluti non fatti, di parole non dette, di cose non fatte.